Giornata della memoria mercoledì 28 gennaio 2015
Sarà un’occasione unica, per riflettere sul dovere della memoria e per comprendere il valore morale e civile dell’essere testimoni, l’iniziativa – realizzata in collaborazione con il Cirb (Centro Interuniversitario di Ricerca bioetica), - che si terrà il 28 gennaio nell’Aula Magna dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, durante la quale gli studenti dei Licei (artistico, classico, coreutico e linguistico) dell’Istituto Suor Orsola Benincasa incontreranno Alberta Levi Temin e Rosetta Loy. Dopo i saluti del Rettore e un’introduzione di Ottavio Di Grazia, filosofo, docente di Culture identità religioni presso il Sob, gli studenti dell’Istituto potranno ascoltare e dialogare con due donne che, per ragioni e attraverso modalità diverse, sono impegnate a trasmettere la memoria di quegli anni bui della nostra storia, gli anni in cui le leggi razziali privarono progressivamente gli ebrei di ogni diritto e la collaborazione con il nazismo li condusse fino all’orrore dei campi di sterminio. Perché soltanto la consapevolezza di ciò che è accaduto, che allora mancò drammaticamente agli italiani, anche a quanti non erano schierati con il fascismo, può metterci nella condizioni di combattere il razzismo, la xenofobia, l’integralismo, in ogni sua forma, e di avvertirne il pericolo.
“Finché avrò fiato”: è quello che con ancora più forza, oggi, all’indomani delle stragi di Parigi, ripete Alberta Levi Temin, ebrea di origini ferraresi ma napoletana di adozioni, scampata miracolosamente alle deportazioni del 1943. Finché avrà fiato, continuerà a parlare di quello che è successo, ,a raccontare l’orrore delle leggi razziali e della shoah. La famiglia di Alberta si trovava a Roma, in casa di parenti il 16 ottobre 1943, il giorno del terribile rastrellamento del ghetto di Roma, a seguito del quale i tedeschi arrestarono più di mille ebrei, ma insieme con la sorella più piccola, il padre e la madre, riuscì a sfuggire alla deportazione, mentre gli zii (Alba e Mario Levi) e il cugino diciassettenne (Giorgio) che li ospitavano nella loro casa di via Flaminia 21 salivano su un convoglio destinato ad Auschwitz da cui non sarebbero mai più tornati.
A via Flaminia 21 è nata e ha vissuto fino al 1942 anche Rosetta Loy, raffinata scrittrice di tanti romanzi di successo – da Le strade di polvere, premio Campiello e Viareggio 1988 a La bicicletta (1974), da La porta dell’acqua ai più recenti Ahi, Paloma (2000) e Nero è l’albero dei ricordi, azzurra l’aria (2004). E proprio Rosetta Loy è riuscita, con un libro coraggioso come La parola ebreo (pubblicato nel 1997), ad interrogare, ricostruendo i suoi ricordi infantili, i nodi più problematici degli anni in cui l’Italia fu razzista: il sostegno di tanti intellettuali al razzismo e all’antisemitismo fascisti, il silenzio del Vaticano, l’incredulità degli stessi ebrei rispetto a quello che stava accadendo, l’indifferenza o l’inconsapevolezza di tanti italiani di fronte a quella discriminazione che colpiva il vicino di casa, il compagno di classe, l’amico di giochi. Al racconto della quotidianità semplice e dei sentimenti di una bambina cresciuta ed educata in una famiglia e in una scuola cattolica, la Loy alterna la narrazione dei fatti storici e la riflessione su di essi, restituendoci un libro che non ha perso la sua attualità. Un libro nel quale, tra le altre, trovano posto la storia di Alberta, e di quel suo amatissimo cugino che, con il pallone sotto il braccio, ignaro della tragedia che incombeva, bussava alla porta di Rosetta Loy per invitare suo fratello maggiore a giocare.